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Melfi, operai riammessi in fabbrica ma non al lavoro
24/08/2010
di Giovanni Iozzia
I tre lavoratori fino al giudizio di opposizione avranno lo stipendio ma potranno svolgere solo attività sindacale. La Fiom valuta la denunzia penale

Come stabilito dalla sentenza Giovani Barozzino, Marco Pignatelli ed Antonio Lamorte lunedì mattina, accompagnati dal loro legale e dall’ufficiale giudiziario, si sono regolarmente presentati in fabbrica, all’inizio del secondo turno ma, una volta dentro lo stabilimento, non sono stati condotti al posto di lavoro ma sono stati fatti accomodare nella in una saletta dove svolgere attività sindacale, fino al momento in cui sono andati via nel primo pomeriggio. Enzo Masini, coordinatore nazionale auto Fiom, ha giudicato «Inaccettabile la decisione dell'azienda». La Fiom-Cgil ha immediatamente proclamato 2 ore di sciopero che ha riguardato il secondo e il terzo turno. Adesso il sindacato sta valutando se chiedere l'intervento della Magistratura per far rispettare la sentenza di reintegro dei tre operai che, secondo la sentenza, devono tornare nella stessa posizione e nelle stesse mansioni che occupavano all'atto della sospensione e del successivo licenziamento. Secondo l'avvocato della Fiom, Lina Grosso, si può anche procedere con una denunzia penale poiché tale il reato è previsto dallo stesso articolo 28 dello Statuto dei lavoratori sulla “repressione della condotta antisindacale”, che rinvia al Codice penale (articolo 650) sull’inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità».
In attesa delle sentenza del 6 ottobre, si inasprisce dunque la battaglia legale tra le due controparti. Violenza privata e turbativa dell'attività industriale ed economica, è quello che sostiene la Fiat; violazione della disposizione del Giudice e possibile azione legale nei confronti di quei lavoratori che, è la tesi della Fiom, avrebbero dichiarato il falso. Per il giuslavorista Pietro Ichino, «l'ottemperanza integrale» all'ordinanza del giudice «implica non soltanto il ripristino della retribuzione e la riammissione del lavoratore nel perimetro dell'azienda, ma anche la riassegnazione delle mansioni e in generale il ripristino provvisorio del rapporto di lavoro nella sua interezza». Al contrario, per l'avvocato Gabriele Fava, esperto di Diritto del lavoro, «Il datore che non intenda concretamente tenersi in azienda il lavoratore licenziato in ottemperanza all'ordine del Giudice, sarà tenuto soltanto a pagare tutto il dovuto». «Per il caso di Melfi – precisa Fava - il reato previsto dall'articolo 650 del codice penale non è neanche ipotizzabile perché tale articolo si riferisce all'inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità, cosa diversa dall'inottemperanza all'ordine del Giudice, poiché tale disposizione è collegata alla inosservanza di un provvedimento per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o di igiene».«Soprattutto - conclude Fava - non si può costringere con la forza un imprenditore a tenere nella sua azienda una persona non gradita, se non altro per rispettare i principi della libertà dell'impresa costituzionalmente garantiti dall'articolo 41 della Costituzione».
«Io sono d'accordo al 100% con quello che ha detto Bonanni». E' chiarissimo il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, aveva detto che «la Fiat sbaglia, essendoci una sentenza della magistratura, a non reintegrare i 3 operai di Melfi». «Non ho detto che la Fiat sbaglia - precisa Sacconi - e non mi esprimo sulla vicenda. Io ribadisco di essere al 100% d'accordo con Bonanni». «La posizione della Fiat appare immotivata – dichiara il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo - e rischia di compromettere il sereno rapporto tra lavoratori e azienda con inevitabili riverberi nelle relazioni tra Fiat e istituzioni. Come presidente della Regione Basilicata, pur consapevole del ruolo di mediazione che in questi casi è affidata all'istituzione, non posso esimermi dal denunciare quello che si configura come una vera e propria violazione dei diritti e confido in un pronto ravvedimento dell'azienda».
Infine, Giovanni Barozzino, uno dei tre operai, si è appellato al presidente della Repubblica. «Mi sento umiliato. A Napolitano chiedo di non farci rimpiangere di essere in Italia», ha detto preannunciando una lettera aperta al Capo dello Stato. «Verremo qua tutti i giorni – conclude Barozzino - fino a quando i giudici non metteranno la parola fine. Noi vogliamo stare nella produzione e non in una saletta».
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